La forma di un’assenza: giudici di professione nel processo tributario

La forma di un’assenza: 
giudici di professione nel processo tributario
Autrice: Francesca Bonfatti (https://francescabonfatti.com/2016/10/15/a-b-s-e-n-c-e-m-u-t-a-t-i-o-n/)

Qualche settimana fa, in un op-ed sul New York Times, Paul Krugman attaccava la politica vaccinale europea (e il suo insuccesso se comparato a quella americana). Dal suo punto di vista - questa era la critica – i policymakers europei erano stati “Averse to the wrong kind of risk”.
Il monito di Krugman dovrebbe valere anche per l’oramai imminente riforma della giustizia in generale, e di quella tributaria in particolare.
Il processo tributario è da anni sotto la lente dell’accademia e delle professioni: se ne lamenta non tanto la lentezza nel giudizio (i tempi qui sono i più brevi in assoluto, se comparati al processo civile e a quello penale) quanto piuttosto la (asserita) scarsa qualità delle decisioni. Ne sarebbero prova sia il numero elevato di sentenze riformate in appello che in Cassazione (nel 2020 le sentenze riformate sono state pari al 47% del totale): di qui anche i rimedi proposti, nel senso di una magistratura professionale, specializzata e a tempo pieno . Si pensa in questo modo che il rischio (scasa qualità) sia superato dall’unico rimedio possibile, la professionalizzazione tributaria del corpo giudicante.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza indica nella riforma della giustizia (anche tributaria) uno dei fattori decisivi per il rilancio del sistema paese (pagine 59 e 60).
Il concetto di professionalità, come d’altronde quello di merito in altri contesti, si presta però a diverse interpretazioni e spesso finisce per portare a una situazione ben diversa rispetto a quella che si prospettava, con uno scenario post-riforma che rischia di essere peggiore rispetto a quello iniziale.
Auspicare un giudice tributario professionale significa poter scegliere, nel reclutamento, tra professionisti che hanno dedicato al diritto tributario, inteso non solo come tecnica e conoscenza del diritto positivo, ma come cultura, storia, e forse anche teoria del diritto, gli anni migliori degli studi: dall’università in poi.
In quanti, oggi, soddisferebbero questi requisiti? Come (e quanto) è curata oggi la formazione fiscale dei futuri giudici professionali ?
La disciplina tributaria oggi è insegnata (e per quanto ancora sopravvivrà come settore scientifico disciplinare non è dato saperlo con certezza) nei dipartimenti di giurisprudenza con una intensità (misurata in CFU – crediti formativi universitari) non comparabile alle altre, più tradizionali, aree del diritto (la media è di 9 crediti su un carico complessivo di 300: ciò significa che meno di 1/30 del tempo medio di studio di un laureato in giurisprudenza è dedicato al diritto tributario).
Quanti giovani uditori giudiziari oggi (o aspiranti tali) sono stati rapiti dallo studio delle norme fiscali durante i loro cinque anni di laurea magistrale, e non magari dal diritto civile, penale o amministrativo ? In questo senso, potrebbe essere al limite sostenuto, neppure i giudici di Cassazione sono tutti professionali nella misura in cui sono prestati al diritto tributario ma provengono da altri rami dell’ordinamento (e spesso a giudicare su quelle diverse materie sperano di tornare non appena possibile).
Perseguire oggi una riforma in tempi brevissimi (quelli del PNRR) ispirati alla professionalità del corpo giudicante non è possibile: semplicemente, come in molti altri settori dell’economia, manca la forza lavoro. Si cerca qualcosa che non c’è.
La preparazione del corpo giudicante, come dovrebbe essere intesa, deve affondare le radici in profondità, esattamente come le specializzazioni dell’area medica, e per una durata di formazione probabilmente analoga. Ecco che allora, senza il rispetto di questi presupposti rigorosi, ogni tentativo di riforma nella giurisdizione tributaria ispirato alla professionalità finirebbe per essere frustrato dalla mancanza di professionisti autenticamente tali, per almeno i prossimi 5 – 6 anni.
A meno che non si intenda per professionale un qualsiasi giurista che si scopra tale dopo un’annualità (o meno) di corsi intensivi, abilitanti, di formazione continua, online, o altro ancora in materia fiscale. In questo caso resterebbe della professionalità solo una facciata che copre vecchi problemi: un rimedio peggiore del male.

Una diversa riforma della magistratura tributaria orientata in senso qualitativo, pilota magari anche per altri settori, potrebbe partire dall’inversione del paradigma: quello secondo cui l’accesso (più selettivo) dovrebbe esser riservato solo a professionisti a tempo pieno.
Invero non si dovrebbe lavorare sulle difficoltà nell’entrare nel ruolo, quanto piuttosto sulla facilità ad uscire da una funzione che resta onoraria, poiché è a tutti piuttosto noto che qualsiasi gruppo sociale aggregato (e la magistratura non fa difetto) non migliora con la selezione dei più meritevoli (sempre aleatoria nelle scienze sociali), ma con l’esclusione dei peggiori (anch’essa aleatoria, ma con un grado di incertezza minore).
In questo secondo caso metriche più attendibili di giudizio (impostate sulla celebrazione d’udienza, la redazione delle sentenze, il contegno in processo) potrebbero essere più sensate, e il risultato finale migliore, soprattutto se coniugato a un sistema di controllo continuo e non concentrato in un’unica prova di ingresso.