La DAC7 e la nuova Fiscalità europea delle Piattaforme digitali
Nel secondo decennio del 2000 l’innovazione tecnologica attuata soprattutto attraverso il web è divenuta sempre più rapida e inarrestabile.
La pandemia da Covid 19 ha costretto, di fatto, all’isolamento fisico e sociale, ma ha avuto anche l’effetto di evidenziare l’importanza e la possibilità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione dalla progressiva implementazione delle tecnologie digitali. Vanno in questa direzione lo smart working, l’istruzione a distanza, la possibilità di acquistare prodotti con conseguente consegna a domicilio, la possibilità di mantenere rapporti sociali attraverso i social network, eliminando le barriere dello spazio (e qualche volta del tempo).
La conseguenza della scoperta (o dell’approfondimento dell’utilizzo) di tutte le piattaforme messe a disposizione sta dando, e darà, un enorme impulso economico a tutte le imprese che operano sfruttando queste tecnologie.
La rete è sicuramente un mondo che dal punto di vista giuridico solleva continuamente nuovi interrogativi e sollecita percorsi di ricerca originali. E’ un “mondo nuovo” che stravolge istituti tradizionali. Il diritto tributario è una delle discipline maggiormente interessate da questa innovazione. In questo campo l’OCSE, la UE e gli Stati nazionali, da anni cercano di combattere fenomeni di frode o di evasione fiscale, fallendo o attuando soluzioni solo parziali. Molto spesso sono gli Stati stessi ad aggirare le normative internazionali per un proprio interesse economico, realizzando così forme di concorrenza sleale. Le piattaforme digitali con i loro nuovi modelli di business, molto distanti dal punto di vista formale e sostanziale dalle imprese tradizionali, fanno risaltare l’inadeguatezza degli stati e degli organismi sovranazionali di porre in essere una tassazione adatta a queste nuove realtà economiche.
Questa manchevolezza fa sì che vi sia un vuoto normativo che permette spesso comportamenti illeciti attuati in particolare dai giganti del web, e non solo. L’elevato e il costante aumento di consumatori e imprese che utilizzano le piattaforme digitali per vendere beni o fornire servizi ha richiesto che tale fenomeno venisse regolamentato da parte dell’UE attraverso un’efficace cooperazione amministrativa tra gli Stati membri in condizioni compatibili con il corretto funzionamento del mercato interno.
La cooperazione amministrativa tra le Autorità fiscali degli Stati membri UE è un traguardo che l’Unione si è posta negli ultimi dieci anni per garantire “l’equità fiscale” e la “giustizia sociale”. Per perseguire questo obiettivo è stata introdotta una settima direttiva che modifica e rafforza la 2011/16/UE (cd. “DAC”).
La DAC costituisce il testo unico regolante lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni finanziarie all’interno dell’Unione: essendo la settima in questo contesto (2021/514 UE) è stata denominata DAC 7 nella letteratura scientifica e nella pubblicistica europea.
Per la prima volta si non si colpiscono le Piattaforme digitali in quanto tali, ma gli utenti di queste che realizzano profitti attraverso l’intrattenimento, la vendita, locazione di beni e che da anni sfuggono al fisco. Lo si fa atraverso un obbligo (su quelle) di comunicare all'Amministrazione finanziaria i dati (di questi).
La Piattaforma, così responsabilizzata, diverrà una sorta di controllore, una longa manus dello Stato: di conseguenza un valido aiuto per scovare situazioni elusive. La direttiva 2021/514 UE è volta a migliorare la trasparenza delle informazioni, garantendo in questo modo la certezza del diritto, sia per le amministrazioni fiscali che per i contribuenti. Interpretando a livello dell’Unione concetti e parametri elaborati dall’OCSE con il Progetto BEPS, la cui Azione 12 del 2015 raccomandava agli Stati aderenti al Progetto di adottare uno standard internazionale di comunicazione di dati obbligatorio, il cd. “Mandatory Disclosure Rules”, proprio nell’ottica di rafforzare la trasparenza fiscale considerata il principale strumento per contrastare le pratiche elusive internazionali.
L’obiettivo che la DAC 7 si prefigge viene attuato attraverso indicazioni precise e puntuali espresse nei “Considerando” dalla direttiva in modo efficiente dal punto di vista dell’attuazione e semplici da quello dell’interpretazione. Le nuove disposizioni rafforzerebbero le disposizioni della direttiva 2011/16/UE migliorando il metodo per lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità fiscali degli Stati membri.
Viene prevista la presenza di funzionari di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro per lo svolgimento di controlli simultanei da parte di due o più enti sovrani, al fine di garantire l’effettiva applicazione delle disposizioni per migliorare la sicurezza di tutti i dati scambiati tra le autorità competenti nel quadro della direttiva 2011/16/UE.
La DAC7 oltre a precisare i confini delle “richieste di gruppo”, della prevedibile pertinenza delle informazioni richieste interviene per rafforzare i meccanismi dei controlli congiunti, introducendo una nuova sezione nel Capitolo II sullo scambio di informazioni.
Particolarmente rilevante è la previsione di un nuovo specifico obbligo di comunicazione imposto ai gestori di piattaforme commerciali digitali, ai sensi del quale dovrebbero essere forniti, alle competenti Autorità fiscali, dettagli relativi ai venditori che accedono a tali piattaforme.
La direttiva prevede date precise per conseguire gli obiettivi: entrerà in vigore il 1° gennaio 2023, entro il 31 dicembre 2022 gli stati nazionali dovranno porre in essere le normative interne per l’attuazione.
La DAC 7 come anche altre disposizioni che prevedono uno scambio di informazioni, pone in essere problemi di non scarso rilievo riguardanti la condivisione dei dati relativi il contribuente e la loro necessaria tutela. Potrebbe dunque sorgere il problema della violazione della privacy, in relazione ai dati degli utenti delle piattaforme digitali. L’aspetto è stato sollevato anche dal Garante UE per la protezione dei dati personali nella Opinion n. 6/2020 del 28 ottobre 2020[1] in merito al progetto di riforma della DAC, il Garante UE si era espresso rispetto alla proposta formulata dalla Commissione per la modifica alla direttiva 2011/16. Riconoscendo l’importanza all’art 25 della direttiva di dover affrontare i riflessi delle prestazioni di servizi transfrontalieri offerti dalle piattaforme digitali, affermava che non si potevano trascurare le cautele per la tutela del diritto alla riservatezza dei dati personali.
In un’ottica di bilanciamento è plausibile pensare che si voglia prediligere l’interesse della collettività rispetto al puro interesse personale.
Un’ulteriore criticità è legata al tema della condivisione dei dati, potrebbe essere riscontrata sul modo in cui devono essere considerati e valutati eventuali accordi di riservatezza e patti di non divulgazione, attuati prima del 1° gennaio 2023, momento in cui la Direttiva (EU) 2021/514 entrerà in vigore e esplicherà i suoi effetti. Questi eventuali accordi sono a tutti gli effetti negozi giuridici stipulati tra piattaforma e utilizzatori della stessa, adottati allo scopo di mantenere segrete riservate e non divulgare talune informazioni che gli utenti non intendono rendere pubbliche, donando alle informazioni stesse una protezione particolare.
La violazione dell’obbligo di riservatezza contrattualmente previsto, per l’ordinamento italiano, espone il responsabile della violazione alla responsabilità contrattuale ex art. 1218 codice civile ed all’eventuale risarcimento del danno ex art 1223 codice civile..
La condivisione dei dati e la violazione di eventuali clausole potrebbero creare una perdita di utenti alle piattaforme, una conseguente perdita economica per il sito e infine una minor quantità di gettito tributario per l’erario.
Molti soggetti, infine, preferiscono non rendere noti i propri dati. Le clausole di riservatezza e non divulgazione potrebbero essere il motivo principale di adesione di determinati utenti alle piattaforme, sia per scopi leciti che illeciti, per la vendita e locazione dei beni. La DAC7 con il non rispetto delle sopracitate clausole potrebbe far sì che gli utenti preferiscano attuare i servizi offerti dalle piattaforme in altri modi, prediligendo prestazioni senza controllo e quindi incrementando il “mondo dell’economia sommersa”.
Infine, gli accordi di riservatezza e patti di non divulgazione, stipulati prima dell’entrata in vigore della DAC7, come dovranno essere considerati, preso atto che nella direttiva non c’è menzione? Sulla base del criterio gerarchico, la prevalenza è sicuramente della Direttiva, perché norma di grado superiore entrata in vigore post accordi, ma che tipo di invalidità lì colpirà? Saranno da considerarsi nulli, annullabili o come non apposti? DAC7 non chiarisce questo tema, ciò potrebbe portare a una zona grigia con soluzioni diverse in funzione alle differenti interpretazioni poste.
La condivisione dei dati è strettamente legata all’ Articolo 8 bis-quater Direttiva (EU) 2021/514, tratta l’ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni comunicate dai Gestori di Piattaforme e le procedure di adeguata verifica. «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per imporre ai Gestori di Piattaforme con obbligo di comunicazione di svolgere le procedure di adeguata verifica in materia fiscale e di adempiere gli obblighi di comunicazione di cui all’allegato V, sezioni II e III...»[2]
Si evidenzia che lo scambio di informazioni e le procedure di adeguata verifica sono importanti a fini puramente riscossivi secondo il punto di vista impositivo, ma è presumibile e non inverosimile pensare anche a un’ottica di contrasto a attività criminali attuate nel web attraverso piattaforme.
È immaginabile pensare che la volontà del legislatore europeo, con la disposizione e le relative procedure di adeguata verifica, sia di contrastare fenomeni di “riciclo di denaro sporco”, antiriciclaggio-AML e contrasto al finanziamento al terrorismo, attività illegali e criminali che possono essere attuate ed enfatizzate grazie alle nuove tecnologie.
L’esame della DAC7 nei mesi a venire darà luogo a due ordini di considerazioni.
In primis: la cooperazione amministrativa tra le Autorità fiscali degli Stati Membri è oggi tutt’altro che “a regime” e dunque pienamente attuata.
Il rafforzamento degli articoli della direttiva 2011/16 UE tende a contrastare la ritrosia degli stati UE a cooperare con amministrazioni fiscali straniere, anche in ragione del fatto che tale cooperazione si traduce in attività che potrebbero avere ben scarse ricadute positive a favore dell’amministrazione interpellata. La Commissione con la DAC7 testimonia la volontà di conferire sempre più un tratto solidaristico alla costruzione europea, in un ambito fiscale, che è alla base dell’esigenza di “equità fiscale” e “giustizia sociale”. In secondo luogo, l’iniziativa di acquisire informazioni attraverso le piattaforme digitali attesta l’impegno della Commissione e dei Ministri del Ecofin, di trovare delle soluzioni, almeno a livello regionale, idonee a governare gli aspetti fiscali della digitalizzazione dell’economia. Nonostante alcuni Stati Membri abbiano introdotto una digital tax o una web tax, persiste l’esigenza di raggiungere una soluzione condivisa, come dimostrano anche i lavori OCSE sul tema.
La soluzione proposta dalla DAC 7 non possiede certamente il carattere di “universalità” o “onnicomprensività”, ma potrebbe essere vista come un primo passo verso la "equità fiscale" costantemente richiamata dalla Commissione come "uno dei principi fondamentali dell’economia sociale di mercato europea tra i capisaldi dell’impegno della Commissione per un’economia al servizio delle persone[3] ".
[1]Opinion n. 6/2020 del 28 ottobre 2020 Garante UE protezione dei dati personali
[2]Cit. Articolo 8 bis quater paragrafo I Direttiva 2021/514 (UE)
[3]Cit. Commissione europea,” Orientamenti politici per la prossima Commissione europea 2019-2024”, “Un’Unione più ambiziosa”; https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/political-guidelines-nextcommission_it.pdf