Una questione di metodo
Ieri a Rovigo sono stat invitato dal Francesco Tundo alla presentazione del suo libro su Giacomo Matteotti: il "Metodo Matteotti", Un'occasione unica per riscoprire una grande polesano e un rande italiano. Per ripercorrere il suo viaggio, pr rivedere il suo coraggio ... e la sua lucidità nella mia materia.
Matteotti ha saputo coniugare la meglio la visione socialista di una società più giusta, calandola nelle norm tributarie, ne principi che dovrebbero eispirare una corretta tassazione.
Avevo preparato una breve relazione, che ovviamente non ho letto, preferendo seguire gli spunti offerti dagli amici.
Il Consenso e la Forza nel diritto tributario di Giacomo Matteotti
Marco Greggi, Università di Ferrara
È difficile per un fiscalista affrontare il pensiero Giacomo Matteotti, e lo è ancora di più in un momento come quello attuale.
Difficile perché di Giacomo Matteotti si conosce quasi tutto: come politico, come studioso della scienza penale … come polesano figlio della sua terra, che però riuscì a conoscere il mondo, o quantomeno l'Europa.
Dobbiamo invece alla fatica di Francesco Tundo la fortuna di avere riscoperto il suo pensiero anche nella disciplina tributaria, perché Giacomo Matteotti fu a modo suo un tributarista e fu in grado, nel suo tempo e per il suo tempo, di tratteggiare una riforma fiscale coerente con la sua visione politica e con quelle che lui riteneva essere le priorità del popolo italiano.
La difficoltà tuttavia è reale, perché ricorrendo l'anniversario della sua morte è agevole da un lato limitare le riflessioni all'ennesimo ritratto agiografico di un grande del suo tempo, con il quale il destino (e la storia) non sono stati generosi come avrebbero dovuto, e dall'altro lato è forte la tentazione di misurare le idee di Giacomo Matteotti con il tempo che noi viviamo.
Il rischio è di verificare se le sue idee, le sue proposte, le sue preoccupazioni siano valide ancora oggi, o se possano essere utilizzate come guida nel tempo presente. Ciò naturalmente è possibile e forse anche fruttuoso, ma con un'avvertenza: quella per cui comunque Giacomo Matteotti fu un uomo del suo tempo, a modo suo straordinario ed eccezionale: di per certo diverso da quello che noi viviamo, fortunatamente, da tanti punti di vista.
Ecco che allora, io credo, il servizio migliore che tutti noi possiamo fare a Giacomo Matteotti è quello di non restare solo prigionieri della memoria, ma di cercare di capire e di vedere soprattutto quello che lui aveva visto.
Credo che proprio in questo si misuri il titolo azzeccatissimo del lavoro di Francesco Tundo chi ha voluto dedicare le sue pagine e il suo tempo al “metodo” seguito da Giacomo Matteotti, e non tanto (e non solo) al contenuto delle sue idee, che pure magistrali sono comunque frutto del suo tempo.
Quello che voglio fare io nel tempo a disposizione è una limitata ricostruzione della figura del Giacomo Matteotti tributarista, su un solco che ha proposto Francesco Tundo e dunque seguire un'analisi metodologica, più che di contenuto.
Il “metodo Matteotti” è la continua ricerca, instancabile in, inarrestabile di equità e di giustizia sociale … e di verità.
La sete di verità soprattutto caratterizza Giacomo Matteotti: questo lo si percepisce anche nel suo scritto sulla riforma fiscale la ove parlando di imposizione sui consumi e sul rapporto tra imposizione diretta ed indiretta, su quale sia veramente la migliore forma di prelievo, ricorda che:
… in ogni caso la utilità dei lavoratori come utilità più generale e potenzialmente universale è la migliore verità.
In questo c'è la visione Giacomo Matteotti socialista: già in questa frase c'è la tensione del suo impegno politico, e della sua costante ricerca come se fosse un Pellegrino alla ricerca della verità.
È proprio l'idea del “Pellegrino” la prima a cui Giacomo Matteotti può essere avvicinata quando un suo antagonista (un avversario, non un nemico in senso Schmittiano) ebbe però modo, spregiativo, do definirlo un “Pellegrino del nulla” e letteralmente:
… un pioniere caduto sulle proprie orme il seguace di una scuola politica che ha dato vita a un inutile circolo vizioso di lotte di agitazioni di sacrifici senza risultato e senza vie d'uscita.
Sul finale del mio intervento vi dirò l'autore di queste parole, scritte tra l'altro, come si intuisce, dopo la morte di Giacomo Matteotti.
Fu davvero un inutile circolo vizioso la sua lotta?
Fu davvero un percorso senza vie d'uscita?
Io non penso, ma lascio a voi il giudizio finale che commenteremo se vorrete, insieme alla fine.
La seconda chiave di lettura della figura di Giacomo Matteotti, dopo quello del “Pellegrino”, emerge dal suo ultimo discorso in Parlamento.
Di Giacomo Matteotti purtroppo non conosciamo la voce perché a quanto, almeno a me, risulta, non esistono registrazioni dei suoi discorsi o dei suoi interventi politici.
Il regime avrebbe fatto della radio e nelle trasmissioni registrate una potente arma di lotta politica in quegli stessi anni: Matteotti sfortunatamente non riuscì a cogliere le potenzialità dello strumento, o forse più semplicemente non ne aveva i mezzi.
L'ultimo discorso di Giacomo Matteotti in Parlamento non è dedicato alla materia tributaria come numerosi altri che invece aveva pronunciato nei mesi precedenti, ma è un discorso che si presta in modo determinante anche a una rilettura del diritto tributario.
Il suo discorso è dedicato semplicemente al Consenso e alla Forza, o almeno questi sono i temi ricorrenti all’interno di esso.
Dal punto di vista tecnico Giacomo Matteotti cercò disperatamente di far invalidare le elezioni politiche che si erano da poco concluse con la stragrande vittoria della lista capeggiata dal partito fascista, sulle base di evidenti e conclamate violazioni di legge: violenze, minacce, ricatti e di quanto altro e di peggio il regime fosse stato in grado di fare per coartare la libera volontà degli elettori. Ma questo non è un aspetto che qui ci interessa in modo particolare pur nella sua straordinaria gravità.
A interessare di più è un rapporto del tutto affascinante tra la forza manifestata dal regime e la disperata necessità di consenso. Credo sia forse davvero questo il passaggio che ha decretato la sua condanna a morte: vale a dire la capacità di cogliere esattamente il punto più debole della sciagurata architettura fascista, e cioè quello per il quale un regime di forza, muscolare, brutale, efferato era comunque alla costante e spasmodica ricerca di consenso.
Il regime fascista voleva essere amato, e voleva piacere, e per raggiungere questo obiettivo era pronto a uccidere, bastonare, usare violenza contro ogni e qualsiasi persona fino a quando costoro non avessero finito per amare, o comunque per dare il loro consenso.
Ecco il corto circuito concettuale, forse meritevole di una lettura psicanalitica che non sono in grado di fornire purtroppo, che Matteotti riuscì a cogliere: quello di un regime pronto a ferire le persone fino a quando queste non lo avessero felicemente.
Per chi lo ha letto, sembra davvero un'anticipazione delle pagine orwelliane di 1984 là ove il personaggio principale esattamente nel momento in cui vieni ucciso dal regime, ama il Grande Fratello, e lo ama autenticamente.
Forza e consenso mi hanno colpito perché sono anche i due aspetti, le due dimensioni del diritto tributario, o forse oramai oggi dovrei dire della tecnica tributaria, perché almeno per come la penso io e per quello che vale in una società post-democratica come la nostra, molti dei concetti maturati nel secolo scorso dovrebbero essere ripensati. Ma andiamo con ordine.
L'imposta per sua natura è esercizio di forza, è un obbligo a pagare una somma a qualcun altro al ricorrere di alcune condizioni, e anche se noi non lo vogliamo, per i più diversi motivi, e anche se noi per assurdo non ci crediamo, alla collettività e al contratto sociale che ci avvince e ci lega tutti, dobbiamo comunque farlo.
Lo stato ha il potere e con esso la forza di soddisfare la propria pretesa. Ma dall'altro canto l'imposizione di regola, almeno così ci ricordano i manuali, dovrebbe fondarsi sul consenso. Nella costituzione che Matteotti non è riuscito a vedere, e alla stesura della quale non ha potuto partecipare (chissà come sarebbe diverso il testo della carta se anche Giacomo Matteotti avesse avuto la possibilità di sedere insieme agli altri padri costituenti) la tassazione è regolata dalla riserva di legge. Er così nell’Inghilterra del XIII secolo: era così nella Francia degli Stati Generali.
Consenso e forza così percorrono tutto il fenomeno tributario, ai tempi di Giacomo Matteotti come ha ricordato Francesco Tundo nelle sue pagine, rammentando come la prima legge sui “pieni poteri” fosse in realtà una norma forgiata per la riforma fiscale e così ancora oggi la over paradosso le forme sono perfettamente rispettate nella grande riforma tributaria che stiamo vivendo ma il cui contenuto è deciso altrove, da altri: magari neppure espressione di quel popolo che custodisce sempre secondo Giacomo Matteotti la migliore verità. E per quanto questo posso avvalere anche Francesco Tundo nelle sue pagine ricorda i pericoli della dittatura dell'alta burocrazia.
Le pagine di Francesco Tundo hanno avuto almeno per me il pregio di ricordare un'altra figura alle quali sono intellettualmente molto legato, ma non dal punto di vista personale purtroppo. Si tratta di un mio vecchio professore di diritto penale scomparso anche lui qualche anno fa in circostanze decisamente meno drammatiche rispetto a quella di Matteotti, il cui ultimo saggio scritto nel 2019 si intitolava “Il diritto penale totale” con un sottotitolo “punire senza legge, senza verità, senza colpa”. Si chiamava Filippo Sgubbi, ed era davvero un grande maestro nelle sue pagine. Sgubbi evidenziava la torsione della disciplina penale negli ultimi anni.
Una disciplina che secondo lui finiva per punire oramai senza il rispetto della legge, senza che le autorità preposte andassero effettivamente alla ricerca della verità e da ultimo in modo tale che la punizione si rivolgesse a persone che in realtà non avevano alcuna colpa.
Nelle pagine di Sgubbi tante sono le suggestioni tratte dal diritto penale tributario.
Ma tornando a Giacomo Matteotti e alla disciplina che vediamo oggi io penso che anche per il diritto tributario si possa sostenere la stessa cosa, soprattutto per chi fa proprio il “metodo Matteotti”. Anche il diritto tributario oggi è un “diritto tributario totale”, non totalitario la differenza è importante, ma anche nella nostra disciplina.
Certo, non si punisce, ma si tassa senza legge, senza capacità contributiva, senza consenso. Ed esattamente come allora nel pieno rispetto delle forme.
Diversi decenni separano Filippo Sgubbi de Giacomo Matteotti ma la loro sensibilità il loro idem sentire è davvero sorprendente, ferma restando la diversità dei contesti.
E allora voglio avviarmi alla conclusione nel tempo che mi è stato assegnato per affrontare nel contenuto le idee fiscali di Matteotti non tanto per cadere in quel tranello che avevo denunciato l'inizio, quello in cui si rischia di cadere qualora si cerchi di trovare nel passato la medicina tutti i mali del presente, quanto piuttosto per continuare quella suggestione tra consenso e forza: vedere come l'uomo Giacomo Matteotti immaginava la fiscalità in un paese democratico che, è uso ancora le sue parole in chiusura al suo discorso, lotta nel
…tentativo di dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza.
Questo Matteotti non lo voleva non l'ha mai voluto, non ci ha mai creduto. Per Giacomo Matteotti non esisteva la forza fin di bene, non esisteva il primato della effettività sulla forma. Anche se non ha mai usato queste parole Giacomo Matteotti credeva davvero che la forma fosse un salvagente, qualche decennio prima di Natalino irti.
E nel contenuto, nella sostanza, quali erano invece le idee di Matteotti socialista polesano?
Mi sono ritrovato nel suo scritto anche su tematiche che oggi appaiono del tutto originali, come ad esempio quella della imposizione straordinaria o come oggi diremmo sugli extra profitti.
Matteotti era un assertore di questa forma di prelievo ne apprezzava l'effetto pur comprendendo la pericolosità, vale a dire il pericolo di vedere l'onere tributario trasferito sullo stato e sugli altri consociati.
Matteotti naturalmente faceva riferimento all'imposta straordinaria sugli extra profitti di guerra ma anche oggi in fin dei conti lo scenario che l'Italia si vede da affrontare presenta pericolosa somiglianze con quello del passato e di per certo evidenzia come alcune e imprese soprattutto di grandi dimensioni abbiano realizzato profitti notevoli in particolari specifici contesti e momenti storici due è stato il caso del settore petrolifero, di quello bancario, di quello biomedicale, e ora a quanto pare di quello connesso al settore bellico con il che il cerchio si chiude.
Sorprende per la straordinaria attualità la critica di Giacomo Matteotti alle rendite catastali che già loro dovevano essere aggiornate e che non erano più in grado di catturare forme di ricchezza che sfuggivano, e a quel dovere di solidarietà economica che Matteotti leggeva anche in assenza per precetto costituzionale a noi oggi ben noto così come spingendo all'estremo la visione socialista della fiscalità Giacomo Matteotti vedeva nel prelievo tributario anche una forma di socializzazione della proprietà superando quel tabù della società liberale per il quale il delitto di proprietà scolpito oggi nel codice civile veniva letto e percepito quasi come se fosse un diritto naturale.
Altri aspetti lasciano magari il lettore moderno più tiepido: è il caso della promozione del whistleblowing attraverso l'assegnazione del recupero dell'evasione fiscale a chi ha fornito le informazioni, oppure il riconoscimento all'agente delle imposte della funzione di giudice fra cosa dice Matteotti le due opposte pretese del contribuente e del privato denunciante.
Suggestiva anche l'idea di considerare la famiglia come soggetto passivo d'imposta in modo unitario trascurando la personalità dell'imposizione che oggi invece è declinata in chiave individuale e poi ancora da ultimo forse più importante quell'idea di progressività che Giacomo Matteotti voleva fosse il metro ispiratore della imposta sulla ricchezza mobile.
La visione socialista traspare anche dalla necessità di redistribuzione della ricchezza attraverso forme di prelievo patrimoniale che permettessero di affrontare quelle ingiustizie sociali che caratterizzavano gli anni ‘20 e che il regime avrebbe finito per esacerbare e insieme a questo molto altro ancora che sicuramente ha contribuito all'esito che tutti conosciamo, per la mano criminale di chi lo ha ucciso. C'è però un aspetto su quale può valere la pena tornare in chiusura delle mie brevi osservazioni e che in un certo qual modo chiude il cerchio che avevo aperto all'inizio.
Nella denuncia della forza e del consenso nel fare vedere l'intima intrinseca contraddizione fra questi due aspetti Giacomo Matteotti si è reso nemico del regime fascista e di ogni totalitarismo in nome della libertà e di quell'ideale socialista chi ha sempre coerentemente perseguito.
In questo leggo la visione lucida di Giacomo Matteotti che lo caratterizza anche nella mia materia e nella visione della cosa pubblica, della solidarietà, del consenso e della libertà contro ogni visione intransigente del vivere civile.
L’amore per la verità.
Le parole dedicate a Giacomo Matteotti “Pellegrino del Nulla” dopo la sua morte non erano quelle di un suo nemico in senso schmittiano ma di un suo avversario, Antonio Gramsci.