Note sul contraddittorio e sul concordato preventivo biennale

Note sul contraddittorio e sul concordato preventivo biennale
Photo by Giammarco Boscaro / Unsplash

Il decreto legislativo di riforma del procedimento di accertamento tributario e sul concordato preventivo biennale, in attuazione alla legge delega (Legge n. 111 del 9 agosto 2023) è finalmente approdato in Gazzetta Ufficiale (d.lgs. n. 13 del 12 febbraio 2024) e riporta sotto i riflettori il tema del contraddittorio e di una rapporto (costruttivo) tra fisco e contribuente. Come già in altri contesti, lo sforzo del legislatore è orientato a superare un modello di riscossione delle imposte di matrice “conflittuale” con uno di stampo “consensuale”. 

Il raggiungimento di questo obiettivo dovrebbe accelerare le riscossione, mitigare la tensioni sociali e rendere il ricorso all’autorità giurisdizionale (giudice tributario) davvero l'extrema ratio nella dialettica tra Agenzia e contribuenti. 

Ultimo, ma non meno importante, anche l’annoso problema della complessità delle norme (e della loro interpretazione: dunque dell’incertezza giuridica) dovrebbe essere superato mediante il concordato preventivo. 

In questo scenario il contribuente dovrebbe essere messo nella condizione di accettare un imponibile determinato dall’Amministrazione finanziaria con la consapevolezza che, fatta questa scelta, null’altro gli verrebbe richiesto di pagare su quella ricchezza prodotta.

Non si tratta, in termini assoluti, di una novità. Già da tempo l’Agenzia si era spinta a “predeterminare” l’imposta dovuta da una vasta platea di contribuenti mediante la dichiarazione cd. "precompilata" la cui accettazione forniva anch’essa una serie di garanzie di non contestazione  al contribuente. 

Lo scenario tuttavia ora è radicalmente diverso e non comparabile con quello precedente da nessun punto di vista..

Nell’ipotesi della dichiarazione precompilata il reddito imponibile era pur sempre quello determinato secondo le norme ordinarie, e in conformità al principio di effettiva capacità contributiva.

Nel concordato preventivo biennale tale operazione non è possibile (e neppur evoluta): qui ora il reddito futuro è stimato sulla base di dati e notizie comunque acquisiti dall’Amministrazione: con tutte le divergenze che ben si possono immaginare tra quanto proposto al contribuente e l’effettivo dovere di concorrere alle pubbliche spese come recita la Carta costituzionale

Nella parte della riforma che regola il concordato biennale (artt. 6 - 22) si dice infatti che l'Amministrazione e potrà fare una proposta di reddito imponibile biennale e che il contribuente sarà nelle condizioni di accettare o meno (art. 9, co. 3). 

Si tratta di una proposta che sarà rivolta alle categorie di contribuenti il cui reddito viene determinato in via analitica (lavoratori autonomi e piccoli imprenditori, e non a tutti - art. 6, co. 1 -).  

Solo i contribuenti già in regola con i pregressi debiti d’imposta (art. 11, co. 1, lett (a) e (b)) potranno cogliere questa possibilità che garantirà loro di pagare il tributo sul reddito e l’IRAP su una base imponibile certa, e predeterminata, senza rischiare ulteriori verifiche. Certo non tutti i proventi saranno inclusi nella proposta, ma solo quelli ragionevolmente ricostruibili sulla base dei dati già in possesso della pubblica amministrazione  in quanto forniti dallo stesso contribuente. Allo stesso modo resta esclusa dallo strumento l’applicazione dell’IVA (art. 18) che, in quanto imposta eurounitaria, sfugge a meccanismi di calcolo che si allontanino troppo dall’effettivo valore aggiunto prodotto dall’operatore economico.

Restano anche esclusi i proventi straordinari (come le plusvalenze) che proprio in ragione della loro occasionalità non si prestano ad essere predeterminati e dunque a rientrare nell’offerta “a pacchetto” che caratterizza l’istituto in esame (art. 16, co. 1, lett. (a) e (b)). Nonostante  l’Amministrazione utilizzi i dati e le informazioni in suo possesso, tra le altre quelle stesse fornite dal contribuente medesimo, una volta avanzata una proposta al contribuente non sembra sia data quest’ultimo la possibilità di “negoziare” sulla stessa o fornire elementi utili a una definizione più puntuale. 

Si tratterebbe dunque, nel bene o nel male, di una proposta di reddito imponibile “chiavi in mano” o se si preferisce “prendere o lasciare".  D’altronde se così non fosse ci troveremmo in una situazione in cui davvero la componente (quasi) contrattuale nella determinazione dell’imposta finirebbe per prendere il sopravvento sul principio dell'indisponibilità dell’obbligazione tributaria. 

Non c’è dunque spazio in questo scenario per il diritto al contraddittorio, tanto celebrato in altri passaggi dell’attuale riforma tributaria nonostante fino all’ultimo vi siano state in sede di Commissione parlamentare iniziative in questo senso. 

La riforma ritocca il contraddittorio (l’attuale art. 6 bis dello statuto dei diritti del contribuente) nell’accertamento del reddito effettivo (e dunque per tutti i contribuenti che o non vogliono o non possono optare per il concordato preventivo) (art. 1 del decreto). 

“Contraddittorio” significa che il contribuente può dire  la sua in sede di accertamento, e ben prima che l’accertamento sia contestato in giudizio davanti al giudice. “Contra-dicere” fa riferimento in questo scenario alla possibilità di contestare le conclusioni cui sta pervenendo l'Amministrazione, producendo documenti o con l’utilizzo della logica: l’Ufficio, qualora ritenga le osservazioni infondate, dovrà spiegare il perchè. 

Per l’Amministrazione potrebbe essere conveniente  in termini di costo e risultato finale in alcuni casi ascoltare le ragioni del contribuente, quando l’attività di verifica è ancora in essere anziché ascoltarle dopo davanti al giudice, una volta che il contribuente ha impugnato l’atto impositivo. 

Ci sono situazioni infatti in cui i tempi di chiusura della pratica sarebbero molto allungati con risultati probabilmente simili a quelli che si avrebbero con un contraddittorio.

Prima della riforma il principio del contraddittorio (altrove definito anche come "giusto procedimento", per fare eco al principio del "giusto processo") era pure previsto, ma non sempre la sua violazione determinava invalidità dell’atto impositivo formato dall’Amministrazione, dovendosi distinguere a seconda del tributo (imposte dirette o IVA) e del tipo di accertamento posto in essere.

Con la riforma del 2023 il legislatore ha esteso il diritto al contraddittorio facendolo valere per qualsiasi avviso di accertamento e innestandolo, con il decreto del 2024 nella più generale partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento. 

La novità rispetto a prima del 2023, in cui una volta formalizzato l’atto c’era la possibilità di contraddittorio, è che ora l’Agenzia delle Entrate avvia il procedimento comunicando al contribuente una bozza (o schema) di avviso di accertamento (art. 1, co. 2-bis d.lgs. 218/97 così come modificato dal decreto del 12 febbraio 2024), permettendogli di formulare su di esso le sue osservazioni, e di esercitare così il diritto alla difesa sul medesimo. 

Esaurita questa fase, è probabile, l'Amministrazione farà tesoro delle osservazioni ricevute dal contribuente e provvederà a perfezionare l’atto. E’ chiaro che la domanda da farsi in questo caso è quali siano i rapporti di forza tra le due parti che ovviamente hanno obiettivi divergenti, e soprattutto che attendibilità potrebbe avere una proposta di recupero che si fonda su un’attività istruttoria parziale, poi sottoposta al vaglio dello stesso contribuente.

Detto in altre parole, se da un lato è lodevole che attraverso meccanismi consensuali si cerchi di raggiungere la certezza dell’imposizione in base alla legge (così che il contribuente possa sapere esattamente quanto pagare) pare però altrettanto chiaro che in alcuni passaggi qui sia la legalità a essere sacrificata alla certezza. 

La definizione consensuale dell’imposta, che trova d’accordo l'amministrazione con i consulenti professionali, potrebbe essere anche profondamente divergente dal tributo effettivamente dovuto, ma tuttavia si potrebbe trattare di un importo accettato da entrambe le parti, seppure, sorprendentemente, per ragioni opposte.

L’Agenzia potrebbe essere spinta ad accettare per velocizzare l'attività di riscossione minimizzando i contenziosi, e il contribuente potrebbe prestare il proprio consenso in vista di uno sconto sostanziale che invece non pare sia concesso ad altre categorie. Non è un gioco a somma zero però, perché a perderci è il principio di tassazione sulla base della ricchezza effettiva.

Nell'accertamento con adesione ante riforma, ove possibile, l'Amministrazione formalizzava un’atto in cui contestava le irregolarità al contribuente, al quale veniva però data la possibilità di adesione. In questo scenario il contribuente dialogava con l’ufficio per cercare di addivenire a un accertamento condiviso (nella prima ipotesi) o a una versione dell'accertamento “accettabile” da parte del contribuente (nella seconda).

La differenza più rilevante però sta nel fatto che l’adesione, secondo il modello giuridico del 1997, si basa o su una attività istruttoria penetrante già svolta (che che magari  è culminata con un processo verbale di constatazione) oppure con un accertamento già formalizzato e notificato al contribuente. 

Nell’uno o nell’altro caso (vale a dire o quando l’avviso di accertamento è stato notificato oppure quando è il processo verbale ad esserlo), insomma, l'Amministrazione ha già a disposizione una mole significativa di dati che riguardano il contribuente: nel secondo addirittura è già pervenuta a una sua conclusione.

Nel caso del contraddittorio proposto con la riforma del 2023, di fatto l’Agenzia delle entrate non formalizza l’accertamento neanche in prima battuta, ma questo viene scritto in collaborazione con il contribuente. Nel caso di accertamento con adesione, l’Agenzia delle Entrate in seguito a controlli riscontra irregolarità, formalizzando un atto, che successivamente viene discusso in contraddittorio. 

Insomma la riforma ha da un lato esteso il confronto con il contribuente, per così dire istituzionalizzando una prassi (quella del contraddittorio), che nel regime previgente non era sempre obbligatoria Il cerchio si chiude poi con il rispetto di questa regola attraverso sanzione dell'annullabilità per l’accertamento che la violi.

Dall’altro lato però il legislatore ha anticipato il momento del contraddittorio a un contesto in cui l’Amministrazione finanziaria non ha ancora un quadro complessivo sulla situazione sottoposta a verifica, e che proprio a questo fine sente il contribuente medesimo, nell'ottica di raggiungere (solo dopo che lo ha ascoltato) un suo convincimento.

Insomma, mentre nel sistema pregresso l’Amministrazione entrava nella fase di ”adesione” con una sua idea in merito alla fattispecie e alle circostanze del caso concreto (ma per pronta a ricredersi in tutto o in parte davanti ad argomenti convincenti del contribuente) ora invece si rapporta al contribuente in un momento in cui la decisione è in fieri e le certezze (in merito all'effettività dell’evasione fiscale o della sua entità) poche.

Il quadro che emerge da questa situazione è evidentemente in chiaroscuro.

Di certo emerge la strategia complessiva della riforma, che già aveva caratterizzato le innovazioni in merito al processo tributario: vale a dire quella di raggiungere celermente la conclusione del procedimento di accertamento possibilmente con il consenso del contribuente. Ciò permetterebbe evidentemente di minimizzare i rischi delle lungaggini (e delle incertezze) connesse al processo. 

Il fatto poi che l'amministrazione finanziaria possa aprirsi alla fase di contraddittorio con uno schema di atto costituisce poi un indubbio vantaggio dal punto di vista della produttività degli uffici e della loro capacità di addivenire a conclusione dell'attività in un tempo più breve.

Dall’altro lato però non mancano le ombre, che si addensano essenzialmente su due profili.

Il primo è prettamente giuridico ed è intrinsecamente correlato all’anticipazione del  contraddittorio, in cui la posizione del contribuente è ancora, per così dire, liquida. 

Il contraddittorio è sicuramente uno strumento per perfezionare l'attività di accertamento, ma è soprattutto strumento di difesa: occasione e luogo in cui il contribuente propone una lettura dei fatti diversa da quella ipotizzata dall’Amministrazione. 

Forzare il contribuente a esercitare questo diritto quando ancora la lettura dei fatti da parte dell'Amministrazione non è consolidata (perchè ad esempio potrebbe mutare gli argomenti che sorreggono l'accertamento o considerare diversamente fatti già prodotti), indebolisce sensibilmente la posizione chi con essa si interfaccia. 

Invero si tratta non di una novità, ma di un’ovvia considerazione che matura anche in altri rami dell’ordinamento giuridico, ove il diritto di difesa trova piena tutela solo laddove la controparte pubblica abbia preso una posizione chiara e univoca.

Dall’altro lato tuttavia l'anticipazione del contraddittorio finisce per essere un’arma a doppio taglio anche per l'interesse erariale.

L’ufficio verificatore, spinto sempre più da parametri di produttività, potrebbe essere motivato ad aderire a una proposta del contribuente davanti a uno scenario ancora incompleto e che magari potrebbe giustificare ulteriori verifiche. 

Il funzionario potrebbe cioè trovare conveniente raggiungere un accordo in un momento in cui la sua stessa istruttoria non è completa (di qui la bozza d’atto) pur di raggiungere l'obiettivo e incassare una somma di danaro.